Lo sapevi che insieme si vive più a lungo?
Che la vita condivisa abbia benefici tangibili lo sospettiamo da sempre. Ma ora è la scienza a dircelo chiaramente: i mammiferi che vivono in gruppo tendono a vivere più a lungo. Una scoperta affascinante che mette in discussione l’idea, tutta umana, che la solitudine sia sinonimo di indipendenza e che l’aiuto reciproco sia solo un vantaggio “sociale”. Secondo uno studio del 2023 condotto da un team internazionale coordinato dall’Accademia Cinese delle Scienze e pubblicato su Nature Communications, la socialità influisce in modo diretto sulla durata della vita dei mammiferi.
Uno studio monumentale su quasi 1.000 specie
I ricercatori hanno preso in esame ben 974 specie di mammiferi, suddividendole in tre categorie comportamentali: specie solitarie, specie che vivono in coppia e specie che vivono in gruppo (branchi, colonie, clan o comunità stabili). L’obiettivo era capire se l’organizzazione sociale fosse correlata in qualche modo con la longevità massima della specie.
La risposta è stata inequivocabile: le specie sociali vivono significativamente più a lungo di quelle solitarie, anche dopo aver tenuto conto di variabili importanti come la massa corporea, il metabolismo e la genealogia evolutiva. A parità di dimensioni e posizione nella catena alimentare, chi vive in gruppo ha una marcia in più nella corsa contro il tempo.
Perché la vita di gruppo allunga la vita
I benefici della vita sociale sono molteplici e si manifestano a vari livelli. Innanzitutto, dal punto di vista ecologico, vivere in gruppo comporta una maggiore protezione dai predatori. Più occhi vedono prima il pericolo, più individui possono intervenire per difendersi o fuggire, e la probabilità di sopravvivenza aumenta.
Inoltre, i gruppi facilitano l’accesso alle risorse, grazie alla cooperazione nella ricerca del cibo o alla divisione dei ruoli. Alcune specie, come i suricati, si alternano nei turni di guardia; altre, come i lupi, collaborano nella caccia e condividono la preda.
Ma c’è di più. Lo studio ha indagato anche a livello molecolare analizzando i profili di espressione genica di oltre 90 specie. E qui arriva la sorpresa: sono stati identificati 31 geni comuni coinvolti sia nella socialità sia nella longevità. Alcuni di questi regolano processi immunitari, altri vie metaboliche o ormonali come l’asse GH/IGF-1, già noto per il suo ruolo nell’invecchiamento. Questo significa che la socialità non è solo un “comportamento utile”, ma ha radici biologiche profonde, che influenzano il modo in cui il corpo gestisce stress, infiammazioni e rigenerazione cellulare.
Un’evoluzione verso la vita lunga
La scoperta ha anche una valenza evolutiva interessante. L’analisi filogenetica ha mostrato che la transizione verso una maggiore longevità è stata più rapida nelle specie sociali, suggerendo che vivere in gruppo può facilitare l’emergere di tratti genetici legati all’invecchiamento sano. In altre parole, la selezione naturale può “permettersi” di investire in individui longevi se questi fanno parte di un sistema sociale in grado di sostenerli.
Un esempio classico è la talpa nuda africana (Heterocephalus glaber), uno degli animali sociali più longevi in assoluto tra i roditori. Vive in colonie organizzate gerarchicamente, simili a quelle degli insetti sociali, e può raggiungere i 30 anni di vita: tantissimo per un mammifero di quelle dimensioni.
Non tutte le specie sono uguali
Va precisato che esistono eccezioni. Alcuni grandi carnivori solitari, come l’orso bruno o la tigre, vivono a lungo nonostante la loro natura poco sociale. Ma spesso si tratta di specie molto grandi, con un metabolismo più lento e meno predatori naturali. La regola osservata dallo studio è una tendenza statistica, non una legge assoluta.
Inoltre, la “socialità” può assumere forme molto diverse: dal vivere in coppia come i gibboni, alla cooperazione multigenerazionale dei delfini, fino ai gruppi matrilineari degli elefanti. Ogni modello ha costi e benefici diversi, e anche gli effetti sulla longevità possono variare.
E per gli esseri umani?
Sebbene lo studio non riguardi direttamente la nostra specie, il parallelismo è inevitabile. Anche per l’essere umano la solitudine è associata a un aumento del rischio di malattie cardiovascolari, depressione e declino cognitivo, mentre relazioni affettive stabili, reti sociali e supporto emotivo sono fattori protettivi noti. In un certo senso, la scienza animale ci restituisce uno specchio evolutivo: vivere insieme ci ha sempre aiutato a vivere meglio. E più a lungo.
Una lezione dalla natura
Lo studio ci invita a guardare la socialità non solo come un fenomeno comportamentale, ma come una strategia evolutiva per resistere al tempo. I mammiferi sociali ci insegnano che la cooperazione, l’empatia e la cura degli altri non sono solo virtù morali, ma meccanismi biologici di sopravvivenza. In un mondo dove le solitudini aumentano, forse vale la pena ricordarlo.
Fonti utilizzate
Lou, D. (2023, 31 gennaio). Mammals that live in groups have longer lifespans, research finds. The Guardian. https://www.theguardian.com/world/2023/feb/01/mammals-that-live-in-groups-have-longer-lifespans-research-finds
Buehler (2023, 7 febbraio). Mammals that live in groups tend to live longer, study finds. Science News. https://www.sciencenews.org/article/mammals-groups-longevity-genetics
Corriere della Sera. (2023, January 31). I mammiferi che stanno in gruppo vivono più a lungo: lo studio cinese. https://www.corriere.it/animali/23_gennaio_31/i-mammiferi-che-stanno-gruppo-vivono-piu-lungo-studio-cinese-639b1ca8-a16f-11ed-8104-5554690e695f.shtml?refresh_ce
World Health Organization. (2025, June 30). Social connection linked to improved health and reduced risk of early death. https://www.who.int/news/item/30-06-2025-social-connection-linked-to-improved-heath-and-reduced-risk-of-early-death?utm






