I gatti: amici di lunga data – Rivista Consumatori

La convivenza tra l’uomo e i felini domestici ha inizio circa 9.500-9.000 anni fa. Eppure siamo sicuri di sapere tutto su di loro? Scopriamo insieme all’etologa Paola Valsecchi vizi e virtù dei nostri amati mici. Con il veterinario Paolo Santanera affrontiamo il tema della sterilizzazione dal punto di vista del benessere dei gatti

Non dire gatto” (Il Mulino, 2022) è il titolo di un libro che Paola Valsecchi, docente di Etologia applicata presso l’Università di Parma, ha dedicato al complesso mondo dei felini.

Il nostro rapporto con loro parte da lontano. «Il primo gatto che manifesta interazioni con l’umano è datato circa 9.500-9.000 anni fa – racconta l’autrice – ma pare che siano stati gli Egizi ad aver avuto un ruolo importante nel processo di domesticazione. Con ogni probabilità i gatti si imbarcarono, o furono imbarcati, sulle navi commerciali che dai loro porti trasportavano cereali in tutto il Mediterraneo, dove si tenevano occupati cacciando i topi e colonizzando così altri Paesi. Sempre a seguito dei viaggi e dei trasporti umani si sono diffusi successivamente lungo le rotte commerciali in Oriente, arrivando in Cina e in India circa 2.000 anni fa».

Il gatto di oggi sembra avere le stesse sembianze del lontano antenato «perché, contrariamente al cane, che nel corso della domesticazione ha subìto molte modificazioni morfologiche adattandolo alla caccia, a custodire le greggi e a farci compagnia – spiega la professoressa -, il gatto domestico è rimasto pressoché immutato per molte migliaia di anni. Il suo scopo principale era quello di cacciare i topi ed era già perfetto così. Solo di recente è iniziato il lavoro di selezione, per renderlo più piacevole ai nostri occhi, modificando il colore del mantello, il tipo di pelo e la taglia. I primi gatti di razza apparvero al Cat Show che si tenne al Crystal Palace a Londra nel 1871 dove furono esposte solo cinque razze. La maggior parte di quelle note oggi (circa l’80%) sono il frutto della selezione avvenuta negli ultimi settantacinque anni. Rispetto alle quattrocento razze di cani note, sono solo settantuno quelle di gatti riconosciute dalla International Cat Association».

Chi ha avuto un micio in casa ne conosce le straordinarie capacità «come quella di vedere di notte, il cui segreto risiede in alcune caratteristiche strutturali e funzionali dell’occhio – continua Valsecchi -. Al contrario, la visione diurna è davvero poco dettagliata e precisa, come quella dei colori: i gatti sono dicromatici, vedono solo il blu e il giallo e distinguono il blu dal viola. Forse non hanno la vista di un falco ma non si può dire che lo sguardo dei gatti non sia magnetico. Ci fissano con grande intensità e sanno come affinare le proprie capacità comunicative con altre specie, inclusa la nostra, proprio usando lo sguardo. È stato dimostrato che il battito lento delle palpebre con la chiusura (parziale o totale) dell’occhio è una forma di comunicazione emotiva positiva tra gatti e umani, un momento magico nell’intesa con il nostro felino. La sua lingua invece è così raspante grazie alle papille gustative, che contengono la saliva che distribuisce sulla pelliccia quando si lecca. Questa azione meccanica abbassa la temperatura anche di 17 gradi sulla zona trattata. Se la sensibilità al gusto non è eccellente (hanno solo 470 papille rispetto alle 10.000 umane), l’olfatto è 14 volte migliore del nostro. L’odore rappresenta sicuramente un importante mezzo di comunicazione: chi ha o ha avuto un gatto in casa sa bene che cosa significhi “marcare il territorio”, ovvero spruzzare urina in punti strategici. Il cattivo odore è dato dalla presenza di un aminoacido chiamato, appunto, felinina. Le gatte sono animali piuttosto prolifici: la letteratura riporta due casi record, quello di una micia che ha partorito a ventisei anni e un’altra che ha dato alla luce diciannove piccoli, tutti in salute».

Il gatto in breve tempo, evolutivamente parlando, ha conquistato la nostra casa e i nostri cuori: «In Italia sono 7,3 milioni quelli che vivono in casa, in Francia quasi il doppio», conclude Paola Valsecchi. «La convivenza non è sempre rose e fiori» aggiunge Paolo Santanera, medico veterinario da molti anni impegnato in campagne di sterilizzazione. «Infatti, oltre ai gatti di casa considerati parte della famiglia a tutti gli effetti, sono numerosi quelli vaganti senza proprietario. Nelle grandi città, e non solo, sono note le colonie feline. A Milano, giusto per fare un esempio, ne risultano censite circa 1.300, per un totale di oltre 22 mila soggetti che devono essere accuditi, curati e nutriti 365 giorni all’anno da volontari. Un altro problema riguarda l’impatto che questi animali hanno sulla fauna selvatica» prosegue il veterinario: «È stato dimostrato, infatti, che i gatti, per appagare il loro istinto predatorio, cacciano piccoli uccelli, micro-mammiferi, insetti, rettili e anfibi, alcuni dei quali appartenenti a specie a rischio d’estinzione. Un danno importante per il nostro patrimonio naturale. In alcuni Paesi, come Islanda e Australia, lo Stato prende misure drastiche sopprimendo i soggetti vaganti o imponendo ai proprietari di tenerli chiusi in casa. Il mio obiettivo è quello di conciliare il benessere dei gatti con la salvaguardia della biodiversità. Un gatto sterilizzato e ben nutrito sta meglio in salute, ha un minor istinto predatorio e tende a muoversi su un territorio più circoscritto. Una gatta partorisce almeno un paio di volte all’anno una media di quattro cuccioli che, nel giro di sei-sette mesi, possono essere a loro volta fertili. Bisogna tenere dunque conto anche di questi numeri destinati a diventare esponenziali. Trovare una buona adozione alle numerose cucciolate è difficile – conclude Santanera -e molti di questi micini sono destinati a morire investiti da una macchina o di malattia. Sterilizzare è dunque anche una scelta etica».

Articolo di Silvia Amodio pubblicato sulla rivista Consumatori – edizione Lombardia di maggio 2023.

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